Post
Relazioni liquide. Perché Facebook ci rende (in)felici
Sfera pubblica e sfera privata, tempo lavorativo e tempo per il piacere. Gran parte della ricerca recente di Zygmunt Bauman analizza la progressiva scomparsa delle grandi opposizioni che caratterizzavano la nostra vita sociale. Sono ormai tutte più liquide e sfumate, anche per effetto delle nuove tecnologie digitali che hanno introdotto una nuova “meta-divisione”, quella tra online e offline, che ormai ingloba e ridefinisce ogni altra attività.
E così il privato diventa pubblico; ci portiamo dietro il lavoro anche in vacanza; pensiamo di essere sempre in contatto con i nostri “amici” online (ma possiamo davvero definire “amici” tutti i contatti che abbiamo su Facebook?)
Come spiega Bauman nel suo ultimo saggio pubblicato in Italia, Danni Collaterali (Laterza), non sempre la migrazione della nostra vita online si traduce in un effettivo potenziamento. Anzi: spesso ci troviamo nella paradossale situazione di non sapere utilizzare al meglio la nuova libertà conquistata.
Le posizioni di Bauman trovano una conferma anche nella recente ricerca psicologica. Come spiega Maria Konnikova in un’ottima rassegna pubblicata di recente sul New Yorker, diversi studi sugli effetti del web e dei social media sostengono che Internet non ci rende affatto più felici. Anzi, come ha mostrato una meta-analisi che riassume i risultati di più di 40 ricerche sul tema, spendere molto tempo online può avere un leggero effetto negativo sul nostro benessere. Ad esempio, l’uso di Facebook può contribuire a provare sentimenti spiacevoli.
Ma, come sottolinea sempre il New Yorker, sono molte anche le ricerche di segno opposto: uno studio del 2009 sostiene che Facebook ci rende più felici e fa crescere la fiducia negli altri. O, ancora, che alcune attività online possano ridurre il senso di sofferenza. Insomma, gli effetti dei social media possono sembrare contraddittori, anche perché ognuno li utilizza in maniera diversa e non è facile generalizzare.
Per uscire da questa contraddizione, il New Yorker cita un interessante studio del 2010 della Carnegie Mellon secondo cui quando si interagisce online in maniera attiva crescono i legami sociali. Quando, invece, si consumano i contenuti in maniera passiva (ad esempio scorrendo il “wall” di Facebook senza lasciare un like o un commento) i social network possono avere l’effetto opposto: rendono le nostre relazioni più deboli e ci fanno sentire più soli. Insomma: il senso di solitudine emerso da diversi studi non sarebbe un effetto diretto di Facebook, quanto del modo in cui lo utilizziamo.
In tutto ciò, sottolinea sempre il New Yorker, è sempre più difficile riuscire ad essere attivi online, anche per il costante sovraccarico a cui siamo sottoposti. E così, più crescono gli stimoli di networking online, più ci ritroviamo a dover occupare una posizione passiva, in cui facciamo fatica a rafforzare i legami sociali:
In ogni studio che ha distinto due tipi di esperienze su Facebook (attive vs. passive), è emerso che gli utenti spendono in media più tempo passivamente che attivamente. Questo potrebbe spiegare perché molti studi su Facebook spesso fanno emergere gli effetti deleteri sul nostro stato emotivo.
Insomma, come ricorda Bauman in un altro suo saggio sugli effetti di Facebook, le vere cause non vanno mai trovate negli strumenti che utilizziamo: “Tutto dipende da ciò che andiamo cercando: i dispositivi tecnologici si limitano a rendere più o meno realistici i nostri desideri e più o meno veloce ed efficace la nostra ricerca”. Per dirla con le parole di Josh Rose (citate dallo stesso Bauman)