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MEET the VR | Un contributo di Simone Arcagni

La Realtà virtuale (VR) vive, respira, si alimenta, digerisce, incappa in qualche passo falso, come un bambino sperimenta e definisce gli angoli del proprio oggetto, scruta le forme e impara a partire dalle simmetrie, cerca analogie e singolarità. Insomma la VR è un bambino. Di quelli però smart, diremmo ora con un termine che ha avuto una fama che gli ha donato una connotazione tale da non poter più essere tradotto.

Da quando è uscito Immersi nel futuro che ho firmato su commissione di Rai sulla VR, il volume stesso è stato al centro di incontri, dibattiti, discorsi. Mi ha permesso ancora di più di entrare in contatto con artisti, registi, creativi, designer… chi con un bagaglio già acquisito di competenze professionali sulla VR, chi alle prime armi… ma soprattutto mi ha permesso (e mi permette) di osservare da vicino un fenomeno che ha alcune caratteristiche molto interessanti.

La prima è che si tratta di un mezzo tecnologico che sta esplorando territori diversi: pur nella difficoltà di passare da un visore all’altro, di accedere a una piattaforma o un’altra, di avere notizie sui contenuti, cercarli, acquistarli etc. (sarà il 5G a risolvere almeno in parte questi problemi? Per gli osservatori più attenti sembrerebbe proprio di sì, io prudentemente aspetterei le mosse di mercato dei vari player)… ecco, si diceva, nonostante le difficoltà, sospinti anche dall’emergenza COVID e dall’ansia di prestazione digitale che sembra aleggiare sulle azioni decisionali della politica a diversi livelli, il convincimento è che i contenuti immersivi possono risultare efficaci a vari livelli.

Il teatro si sta muovendo (e la danza, e in generale le forme performative di arte e spettacolo) e nelle sue componenti più “illuminate” immagina modi di partecipazione mista oppure condivisa, spezza i linguaggi della scena costruendo uno spazio nuovo, interviene sulla struttura stessa del medium. La moda, per esempio, si orienta sempre più su esperienze immersive, sia di comunicazione che di pura esibizione (le passerelle virtuali), oltre a quelle di acquisto. Per non parlare dei musei, della didattica e della formazione (mai più lo schermo suddiviso come un video wall anni ’80!).

Che si tratti di sondare le possibilità olografiche della realtà mista (MR) o quelle documentali del 360°, l’indicazione è chiara: esplorare i mondi virtuali. Che siano l’utopia di uno spazio “altro” profondamente sensibile, come aveva già preconizzato Jaron Lanier negli anni ’80, o che si tratti di una svolta verso gli avatar o gli ologrammi, o ancora la “ipersensibilizzazione” (e sensorizzazione) dei corpi virtuali come sta studiando da anni Mel Slater.

Insomma: la VR è la punta, è l’inizio, è il bambino, di cui sopra, che sperimenta se stesso e il mondo attorno a sé.

Epic Game (quelli di Fornite, così… tanto per capirci!) ha intanto raggranellato quasi un miliardo di dollari per il suo progetto Metaverse, un ambiente immersivo in CGI completamente adattabile, partecipato, condiviso. Un po’ come Second Life ma con anche la possibilità di accedere a contenuti di produzioni diverse in ambienti da condividere e da fruire con tecnologie differenti.

Non saprei dire se si tratti di un sogno o di un incubo (vicino alle alienanti pareti/televisione di Fahrenheit 451), sicuramente si tratta di un segnale che la tendenza a creare mondi immersivi, e di contro la velocità di sviluppo di tecnologie di connessione sempre più potenti possono (anzi, sembrano) muovere in quella direzione.

La VR si incastona allora in questo spazio tecnologico, creativo e culturale… normalmente si parla di XR (Extended Reality) proprio come la somma delle tecnologie immerive e la possibilità di contaminarle. Elisabetta Rotolo che ha fondato il MIAT (Multiverse Institute for Arts and Technology) a Milano ne è sicura… il futuro della comunicazione a schermo frontale ha i giorni contati e il mondo dell’XR ridisegnerà i confini del nostro vedere ed esperire il reale. E intanto durante il lockdown il musicista Jean-Michel Jarre si è esibito “live” in uno spazio tridimensionale in CGI interattivo e condiviso e partecipabile con in visori VR…

Un futuro in cui (la maggior parte degli osservatori ne è convinta) la fotogrammetria potrebbe giocare un ruolo fondamentale permettendo di superare il video 360°. Accedendo a universi ancora più condivisibili, attraversabili e allo stesso tempo (foto)realistici (è di qualche anno fa ma se avete modo di vedere After Solitary vi potete fare un’idea di cosa si potrebbe combinare).

E intanto… Il Museo del Cinema di Torino ha allestito al suo interno una sala VR e sulla cupola esterna invece programma opere di videomapping. Trovo che il caso del museo torinese sia emblematico, anche solo come metafora: la VR che trova un suo cave, una sua grotta intestina, una sorta di fantastico ipogeo dentro l’Aula del tempio, sancta sanctorum della storia del cinema, con tanto di statua del Moloch di Cabiria che tutto osserva. E proprio ai suoi piedi una grotta (in qualche modo platonica, visto che si anima di visioni fantasmatiche) sugge dal cinema linguaggi, forme, pratiche e immaginari per convertirli dentro visori a caschetto, che sicuramente non detronizzano il cinema, me ne predispongono possibili percorsi alternativi. Allo stesso tempo il cinema si esternalizza, esce dalla sua dimensione tutta interiore della sala, (non a caso chiamata black box) per sporgersi sul mondo, aggettarsi sulla città, mostrarsi nel suo patrimonio simbolico per antonomasia, quella torre che il geniale Antonelli voleva capeggiasse sulla pianura.

Ma emblematica è anche la saletta al MEET.

Una precisazione sulle salette VR: da anni propongo questo modello come l’unico in grado di rendere “famigliare” la VR ad un pubblico più ampio, selezionando esperienze e tecnologie. La sfida ora è aperta: Rai Cinema si sta impegnando e nel mio piccolo li sto aiutando a indirizzare le scelte e sovraintendere le diverse aperture che continueranno nei prossimi mesi. A breve si potranno anche tirare le prime somme.

Ma torniamo al MEET che intanto si è dotato di una sala immersiva e di un corner VR che vanno a impreziosire l’offerta di un centro dedicato alle culture digitali. Anche in questo caso il valore simbolico è alto e denota un’attenzione, a dire il vero mai sopita negli ultimi decenni, alle possibilità espressive e comunicative della VR. Anche alla luce di quella varietà di applicazioni di cui abbiamo parlato. E un discorso particolare va fatto proprio a proposito dell’arte a cui guarda con particolare interesse MEET. L’arte si candida ad essere il laboratorio più attento e interessante per queste tecnologie. Artisti e creativi collaborano con scienziati, ingegneri e sviluppatori per mettere a punto opere che interrogano il mondo contemporaneo, che piegano le tecnologie stesse verso risultati e ricadute originali, svolgendo un ruolo di apripista imprescindibile in questo momento (e infatti le cose migliori in VR vengono da questo mondo, oltre che da quello documentario). Basti vedere le opere di Ouchhh o i mondi di Ian Cheng o, ancora, i lavori di Refik Anadol (da vedere l’installazione Renaissance Dreams al MEET!).

E continuando in questa (poco sistematica) esplorazione notiamo che le notizie si susseguono: VR/AR l’associazione internazionale dell’industria VR e AR (Realtà Aumentata), con una sede anche in Italia (curata dal valente Lorenzo Montagna), scruta le ricadute commerciali e industriali su diversi campi, dal marketing all’industria, l’automotive, senza dimenticare il medicale, vero spazio ricettivo di queste tecnologie… e ne sa qualcosa Valentino Megale CEO di Softcare Studios.

E aspettiamo anche nuovi contenuti nel mondo “cinematico” aspettando la selezione di Venezia, ancora una volta nelle mani di due nomi che sono una garanzia: Michel Reilhac e Liz Rosenthal. Ma una certa vitalità la si può facilmente percepire anche sfogliando le piattaforme di Vive e Oculus, o guardando il sempre sfizioso catalogo della francese Diversion che sta assumendo sempre più un ruolo di primo piano nella distribuzione di contenuti. O, ancora, gettando un occhio attento alle selezioni di festival come Sundance e Tribeca ( con l’eccellente lavoro svolto da Loren Hammonds), senza dimenticare quello scrigno di preziosi che l’NFB (National Film Board).

La VR in questo momento si trova dentro questo panorama ancora molto frammentato, difficilmente definibile, instabile sotto molti punti di vista. Per tornare alla nostra metafora iniziale, il nostro bambino smart fa ancora molti errori, tribola e spesso innervosisce. Si sa che crescerà, non sappiamo ancora bene quale voce sarà la sua definitiva, il colore dei capelli, se quel taglio degli occhi così particolare si smorzerà o si accentuerà… insomma: non sappiamo ancora quale ruolo la VR giocherà all’interno del più vasto calderone della XR, ma sappiamo che ora assolve un compito fondamentale: provare, creare, sperimentare, innovare.

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