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L’algoritmo può diventare creativo?
Di seguito proponiamo un estratto dal libro #A.I. Challenge. Amica o nemica? Come l’Intelligenza Artificiale cambia la nostra vita (Hoepli Tracce, 2019) di Chiara Sottocorona.
Sapete quali sono tra i “colletti bianchi” i mestieri destinati a sparire per primi nei prossimi anni? I contabili e le segretarie di direzione, naturalmente, ma anche i consiglieri finanziari. Tutti destinati a essere sostituiti da algoritmi di intelligenza artificiale. Non è che l’inizio. Una professione che prima era considerata come garanzia di una carriera sicura e tranquilla, come quella del bancario, da meno di due decenni, è quasi in via di estinzione. L’automazione ha progressivamente eliminato prima l’impiegato allo sportello, sostituito dai bancomat ormai multifunzioni, poi le filiali, ridotte all’osso dall’uso della banca online, delle app bancarie e dei pagamenti mobili, e infine i consiglieri e i trader, sempre più sostituiti dagli algoritmi robot investor. Secondo i dati di Aite Group la percentuale di scambi azionari gestiti dai software intelligenti si assesta oggi a livello mondiale al 66% (in Europa è un po’ più bassa, 45%).
Gli algoritmi realizzano infinite operazioni al secondo, sfruttando minimi scostamenti di prezzi. E sanno speculare, come avverte un articolo pubblicato dal “Sole 24 Ore” nell’ottobre 2018: riescono a compiere più operazioni quasi in contemporanea, cosa che sarebbe ben difficile a un essere umano.
Are robot coming for your robots? titola un articolo del “New York Times”. «I robot si prenderanno il mio mestiere?» è una domanda che ci stiamo ponendo tutti. Ma dovremmo piuttosto chiederci: «C’è un algoritmo intelligente per il mio mestiere?». Perché basta quello a cominciare a metterci fuori gioco. E se i robot come oggetti, pur smart ed evoluti, tenderanno a sostituire in gran parte i lavori cosiddetti manuali (anche nel caso di lavori e ruoli complessi come nella sanità, nell’assistenza, nella sicurezza), gli “invisibili” algoritmi andranno a colpire il lavoro intellettuale. Per arrivare poi a quello creativo. Giornalisti, presentatori TV, artisti, musicisti sono già i prossimi bersagli delle tecnologie intelligenti. A presentare i telegiornali in Cina c’è un nuovo volto: ha le sembianze umane, porta giacca e cravatta, ma in realtà è un avatar istruito dall’intelligenza artificiale. L’ha sviluppato l’agenzia di stampa statale Xinhua con gli algoritmi di machine learning e il motore di ricerca Sogou.
Da quattro anni l’agenzia di stampa americana Associated Press ha cominciato a utilizzare software capaci di scrivere autonomamente articoli di economia. Le notizie trattate dall’agenzia sono passata da 300 scritte manualmente a oltre 4.400 “automatizzate” a trimestre, grazie all’analisi di big data su documenti che riguardano le imprese. Gli algoritmi intelligenti sono molto più veloci dei redattori nel passare al setaccio un’enorme mole di documenti, come i rapporti finanziari.
Google e Facebook li usano per decidere le priorità delle notizie da fare apparire nei news feed. E anche nei media della vecchia Europa la caccia agli abbonamenti digitali si fa tramite l’A.I. Da oltre due anni il “Neue Zürcher Zeitung”, il giornale svizzero di più antica tradizione (fondato nel 1780), utilizza un “paywall” dinamico e personalizzato che grazie al deep learning sceglie il momento e la formula più opportuna per proporre a ciascun lettore di sottoscrivere un abbonamento digitale. Lo fa combinando 150 criteri, tracciando ogni mossa del lettore online. Gli abbonamenti sono in costante crescita e per l’edizione digitale hanno superato nel 2018 i guadagni provenienti dalla pubblicità: la proporzione ormai è del 60% dei ricavi degli abbonamenti online, contro il 40% della pubblicità online.
Gli algoritmi sono molto più efficaci degli umani per spingere il consumo di tutti i media online. Prendiamo il caso della musica: lo streaming è diventato il modo preferito di ascoltarla e rappresenta ormai il 40% del fatturato dell’industria discografica. «Lo streaming ha cambiato il mondo della musica come Google ha cambiato il web» ha detto Scott Cohen, fondatore e vicepresidente di The Orchad, società di distribuzione, allo Streaming Summit organizzato dal Midem a Cannes nel giugno 2018. Il Midem, il più importante appuntamento internazionale per l’industria musicale, ha fatto emergere anche un altro trend che spiega questo boom: l’uso dei big data e dell’A.I. nella musica online.
«Gli ascoltatori aumenteranno molto il loro consumo grazie alla scoperta di nuovi generi e nuovi artisti sulla base dei suggerimenti dati dagli algoritmi di intelligenza artificiale» ha precisato Bill Patrizio, CEO di Rhapsody-Napster. Gli smart speaker in casa, come Alexa di Amazon o Google Home, diventano anche i nuovi suggeritori per la musica da ascoltare o i programmi TV da vedere. Spotify, il leader europeo dello streaming, ha acquistato la startup Echo Nest, che usa l’A.I. per permettere ai fans di scoprire e condividere la musica che amano. Un’altra startup, la californiana Asaii, ha creato un motore di ricerca, denominato “Brain”, basato sul machine learning, capace di predire quali saranno i prossimi brani di maggior successo. Lo usano già 16 aziende, tra service musicali, label, radio e social network.
E c’è perfino chi ricorre all’A.I. per comporre nuovi brani musicali: AIVA, una società nata nel Lussemburgo e attiva in Francia, propone musica originale composta dai suoi algoritmi intelligenti. «Creiamo musiche per film e per videogame. E siamo certi che domani l’A.I. protrà creare la musica giusta su misura per ogni utente» assicura Vincent Barreau, ingegnere e musicista, uno dei tre fondatori.
Le reti di neuroni artificiali dunque compongono opere. Lo fanno ovviamente imitando un patrimonio già creato da artisti di ogni eopca. Ne ha dato una dimostrazione Huawei, con una stupefacente performance live alla Cadogan Hall di Londra il 6 febbraio: la sua intelligenza artificiale ha composto il seguito, in due movimenti, della celebre sinfonia n.8 di Schubert nota come L’incompiuta.
Non dimentichiamo che gli algoritmi di deep learning sono capaci di apprendere ed evolvono molto velocemente. Anche nel mondo dell’arte. Da aprile a giugno 2018 la galleria nazionale del Grand Palais a Parigi ha presentato la mostra Artistes&Robots. Una trentina di opere create da artisti con il supporto di robot o di algoritmi intelligenti. Una collaborazione, in questo caso, per esplorare le frontiere dell’arte in mondi immersivi, virtuali o interattivi. Ma qualche mese dopo si è verificato un fatto ben più sorprendente: un quadro interamente generato dall’intelligenza artificiale è passato a un’asta di Christie’s. A darne notizia è il quotidiano “Les Echos”: «Dal 25 al 28 ottobre una delle opere in vendita nell’asta organizata da Christie’s al Rockfeller Center di New York è il ritratto di Edmond de Belamy, stimato tra i 7.000 e i 10.000 euro. Generato da un sistema di A.I. messo a un punto del collettivo francese Obvious, era stato presentato a inizio anno alle gallerie parigine insieme ad altre opere create artificialmente».
Sopresa: il ritratto di Edmond de Belamy è stato aggiudicato il primo giorno, al prezzo record di 350.000 dollari. Una cifra insperata e inimmaginabile per l’algoritmo “pittore” che si chiama GAN (Generative Adversarial Network). È stato messo a punto a partire dal 2014 all’Università di Montréal da tre venticinquenni: Gauthier Vernier, Pierre Fautrel e Hugo Caselles- Dupré. Per trasferire alla loro rete neuronale la capacità di dipingere, i tre ricercatori hanno cominciato a “nutrirla” con le immagini, in alta definizione, di 15mila ritratti realizzati dal XI al XX secolo. Poi hanno messo in opposizione due algoritmi: «Il primo genera le immagini secondo le tecniche che ha appreso, l’altro deve indovinare se le opere che gli vengono sottoposte sono state create da umani o da una macchina» hanno spiegato i ricercatori. «Lo scopo del primo algoritmo è da migliorarsi per ingannare il secondo. C’è una variabile aleatoria: è questo il miglior modo che abbiamo trovato per imitare la creatività».
Naturalmente anche Google lavora, da oltre tre anni, su opere generate dall’A.I. e ha anche organizzato un’asta per esse a San Francisco nel 2016. Il procedimento usato è diverso: all’inizio è un artista a guidare l’A.I., chiamata in questo caso Deep Dream. Si tratta di un sistema di riconoscimento di immagini che viene usato all’inverso, chiedendogli di trovare delle cose che non ci sono nelle immagini analizzate. Non trovando questi elementi (per esempio cane, gatto, cavallo, auto), l’algoritmo è portato a inserirli in un modo che può apparire piuttosto surreale.
Le reti neurali più evolute sono già in grado di “visualizzare” concetti e di formare quindi un’immagine conseguente. Si può chiedere per esempio all’algoritmo: «Mostra un cavallo marrone in un prato verde di fronte a un bosco scuro» come ha fatto Joshua Bengio di fronte ad alcuni studenti per mostrare i primi passi dell’A.I. nella creatività. E il risultato è un’immagine nuova, sintetizzata dalla macchina. Una strada che sta trovando già applicazioni.
Immaginate il vantaggio che ha Google grazie al suo progetto Google Art, in corso dal 2011, attraverso il quale ha digitalizzato le opere di 1.200 musei in 70 paesi (ufficialmente “per rendere l’arte accessibile a tutti”). Foto e video, per la maggior parte riprese in alta risoluzione, che costitutiscono un ricchissimo database per gli algoritmi “alunni”.
Intanto, una grande agenzia pubblicitaria giapponese del gruppo McCann ha già messo al lavoro il primo “A.I. creative director”. Con risultati impressionanti. Il progetto è nato dall’idea di Shun Matsuzaka, giovane dirigente creativo che nel 2015 ha proposto di mettere a punto un’intelligenza artificiale capace di fare da art director di uno spot televisivo.
Nel marzo 2017 all’ISBA, la conferenza annuale dei pubblicitari a Londra, Matsuzaka ha presentato il primo direttore artistico artificiale, chiamato “AI-CD Beta”. Ha la forma di un robottino cilindrico ed è dotato, oltre che di sensori e videocamere, di un braccio mobile che termina con una penna calligrafica elettronica, grazie alla quale traccia su una tavoletta la trama delle idee e gli screenshot della sceneggiatura. Per addestrarlo, è stato “nutrito” con le immagini dei migliori spot pubblicitari degli ultimi dieci anni, oltre che con una serie di griglie e tag che gli permettessero di individuare gli elementi che avevano portato al successo quelle pubblicità. Poi AI-CD Beta è stato messo alla prova in competizione con un direttore creativo umano dell’agenzia, Mitsuru Kuramato. Il messaggio che doveva rappresentare per uno spot pubblicitario di una gomma alla menta gli è stato posto in modo concettuale: «Una sensazione istantanea di respiro fresco che ti dà la leggerezza per almeno dieci minuti».
Quando i due spot sono stati sottoposti alla comunità degli oltre 200 creativi pubblicitari presente al convegno di Londra, la maggioranza ha votato per lo spot creato dall’A.I. Mentre in un sondaggio fatto presso il pubblico giapponese ha vinto di poco lo spot pubblicitario del direttore artistico umano: scelto dal 54% dei telespettatori, contro il 46% che ha preferito quello di AI-CD Beta.