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AI4FUTURE | Intervista a Luca Pozzi
In residenza loc. agg.le (sempre posposta). 1. Riferito ad artista che risiede per un certo periodo in un luogo messo a disposizione da un ente o istituzione culturale, università, ecc. al fine di dare impulso alle ricerche e alla creazione di opere da parte dell’artista stesso, anche in relazione con la comunità e il territorio.
MEET è molte cose, più d quanto spesso sia visibile, oltre le manifestazioni e le esposizioni.
Così come sono molte, invisibili ai più, i network che uniscono i Centri di Cultura di tutta Europa.
Il Meet e insieme a noi decine di altri enti, collabora con il mondo culturale e scientifico del Vecchio Continente alla creazione di relazioni, occasioni e iniziative che permettano all’arte e le discipline scientifiche di entrare in relazione, esprimere sinergie e collaborazioni che spesso risultano di estremo interesse sia per gli artisti che gli scienziati.
Nell’ambito di AI4FUTURE, lo showcase finale del progetto europeo Creative Europe, visitabile fino al 18 settembre da noi Nella Immersive Room e nelle gallery presenteremo l’opera di quattro giovani artisti, ognuno dei quali in residenza presso altrettanti centri.
Tra questi c’è anche Luca Pozzi, che è l’artista in residenza presso il MEET digital Culture Center.
Quale occasione migliore per intervistarlo e conoscere il suo lavoro e la sua attività con il Meet e la comunità degli scienziati che lo ha coinvolto?
Gli altri giovani artisti che espongono sono Nino Basilashvili a Cagliari per Sardegna Teatro; Bernat Cuní per l’Istituto di arte e cultura Espronceda di Barcellona; Chunju Yu a Rotterdam per lo spazio V2_ Lab for the Unstable Media.
MEET – Luca, sei un artista in residenza, e questo ti pone in una condizione di relazione particolare con MEET, si è creata una storia originale, di una intensità diversa dalle altre relazioni pur profonde che Meet intesse con gli artisti. Come è avvenuta questa scelta reciproca, come è nata la relazione che ti ha portato ad essere un artista in residenza al MEET? E oltre le motivazioni, mi piacerebbe sapere cosa significa per te come persona e artista, essere in residenza al MEET.
Luca – Ho sentito parlare del MEET per la prima volta nel 2020 durante la pandemia. Ero stato contattato per prendere parte ad uno dei tanti tavoli di discussione su Zoom che in quel periodo imperversavano nelle diverse comunità più o meno connesse alla cultura. Nel caso specifico il MEET aveva organizzato un super incontro, con opinion leaders provenienti da varie discipline, allo scopo di immaginare nuovi gradi di libertà in un presente che imprigionava le persone confinandole e isolandole in bolle fluttuanti di precaria protezione. Ricordo che, partendo dalle parole di Ursula Von Der Leyen, avevo preparato un intervento di pochi minuti sull’Hyperinascimento, che poi sarebbe diventato l’incipit per una mia grande mostra presso la FMAV di Modena l’anno successivo. Nel mio breve speech proponevo un nuovo rinascimento che sostituisse alla centralità antropocentrica dell’uomo, un paesaggio costituito da libera informazione in movimento. Un paesaggio fluido che non potesse essere sfruttato per scopi egoriferiti ma che per sua natura delineasse gli orizzonti di un intero ecosistema di cui facciamo semplicemente parte. Credo che sia stato proprio questo prendere coscienza di far parte di un ecosistema comune che mi ha portato a collaborare con il MEET in maniera sempre più intimamente connessa, tanto da impostare un semestre di ricerca a stretto contatto. Il MEET rappresenta ai miei occhi, proprio nella mia città natale a due passi dal mio studio, l’effetto di una causa latente che è stata per molti anni dormiente e a cui difficilmente si può voltare oggi le spalle: la priorità di immaginare nuove chiavi per aprire le porte dell’hyperesperienza contemporanea ed uscire dall’antropocentrismo.
MEET – Rosetta. Questa parola è una specie di chiave crittografica che svela tante cose sul tuo lavoro, sia dal punto di vista dei prodotti della tua arte, sia per quanto riguarda il tuo pensiero sul ruolo dell’artista e del suo rapporto con la tecnologia.
Ma andiamo per ordine, prima parlaci della Missione Rosetta.
Come è iniziata questa missione?
Luca – La progettazione e realizzazione della prima versione della “Rosetta Mission 2020” (RM2020) è iniziata nello stesso periodo. Il 2020 per me è stato un anno di grande accelerazione e spinta espressiva mossa proprio dall’urgenza di immaginare prospettive svincolate dalle necessità economiche del sistema dell’arte convenzionale. Anche in questo caso nasce durante una residenza atipica, da remoto, presso la Casa Degli Artisti di Milano in collaborazione con il team del progetto ERC An-Icon coordinato dal filosofo Andrea Pinotti dell’Università statale di Milano, insieme a ricercatrici e ricercatori incredibili come Elisabetta Modena, Sofia Pirandello ed Alessandro Costella.
In grande sintesi rappresenta una stele di Rosetta contemporanea progettata come un ambiente virtuale di 2 km di diametro pensato per produrre senso comune ispirato dal leggendario reperto archeologico ritrovato in Egitto nel 1799 ed oggi esposto al British Museum di Londra. In passato una pietra di granodiorite con sopra incisa la stessa inscrizione in geroglifico, demotico e greco antico, oggi uno spazio VR partecipativo aperto in cui immergersi, parlare ed interagire, navigando i contributi digitalizzati di ricercatori provenienti da universi paralleli apparentemente inconciliabili. Entrambi rappresentano ai miei occhi un simbolo, una testimonianza della priorità del dialogo e della necessità di comprendersi oltre i confini disciplinari, le barriere geografiche e gli interessi economici. Ma prima di tutto è un esperimento, una spia che certifichi la svolta epocale, il cambio di paradigma che stiamo vivendo e che ci spaventa anche un po’, è uno spartiacque tra il prima e il dopo e si pone come vera e propria missione affinché la correlazione tra analogico e digitale venga vissuta come un’avventura e non come una punizione, come un’opportunità e non un ripiego. È’ uno spunto di riflessione su più livelli: quello simbolico, quello allegorico e quello visivo. Si tratta di un mondo che non vive su una singola piattaforma, ma su più piattaforme simultaneamente, ciascuna con le proprie caratteristiche e specificità, nessuna mai veramente completa da sola. L’unico modo per avere un’esperienza hyper è saltare da una piattaforma all’altra, come farebbe un elettrone sulle orbite di un atomo.
La connessione formale tra la Stele Di Rosetta del 196 a.c. e la “Rosetta Mission 2020″ regge semplicemente su un caso di omonimia, quello offerto dalla missione spaziale dell’ESA (European Space Agency) che tra il 2004 e il 2016, per la prima volta, è atterrata con una sonda, la sonda Rosetta per l’appunto, su una cometa, la 67P/Churyumov-Gerasimenko, alla ricerca dell’origine della vita nel sistema solare.
Il progetto in definitiva è la ricostruzione in 3D del corpo celeste, disponibile in due versioni: una sviluppata come Game Engine Unity, pensata come una specie di viaggio meditativo per un singolo esploratore alla volta, e una stanza online invece Social accessibile da smartphone, computer o visore VR da più persone contemporaneamente utilizzando il browser di Mozilla Hubs. Entrambe sono customizzate dall’intervento di cinque “ricercatori” provenienti da diverse discipline. Io mi sono occupato del Canyon centrale della cometa, dove ho installato due esemplari di animismo tecnologico: “l’Arkanian Shenron” e “l’Arkanian Leonardo”. Carlo Rovelli (fisico teorico) ha presentato “Amplitude” un diagramma, creato insieme a Farshid Soltani, che descrive la transizione di fase topologica tra un buco nero e un buco bianco in regimi di gravità quantistica. Garrett Lisi (fisico teorico) ha reso disponibile il suo modello “E8” generando degli avatars che consentono allo spettatore di accedere all’ambiente virtuale assumendo le sembianze delle particelle esistenti ed abbandonando la propria identità “convenzionale”. Michelangelo Pistoletto (artista) ha inciso sulla superficie della cometa il suo celebre “Terzo Paradiso”, rivelatore della connessione tra il mondo artificiale e quello naturale. Alain Connes (matematico) ha scritto installato un algoritmo “The Music of Primes” che traduce la progressione dei numeri primi dal 7 al 67 in una musica dal sapore seicentesco, udibile solo una volta raggiunto il punto zero di rotazione della cometa, il suo nucleo immobile e stabile.
MEET – E questi sono solo i contributi della versione 2020? Mi dicevi che si è aperta una seconda fase e il Progetto sta proseguendo nel 2022. Quali sono le differenze? Qual’è lo stato attuale?
La differenza sostanziale tra la versione 2020 e la 2022, in corso di sviluppo proprio per il MEET ed AI4Future, risiede proprio nella natura dei contributi e nella specificità dei linguaggi coinvolti. La RM2020, come volevo dirti, è rivolta all’inclusione delle ricerche scientifiche più speculative, mentre la versione 2022 cambia registro e vira su problematiche relative al Climate Change e la Gender Fluidity.
Per farlo ho teletrasportato innanzitutto la cometa in prossimità del pianeta terra, come nell’atto di transitare sopra l’Antartide. Poi ho riproposto, sotto forma di gigantesco graffito a spray verde fluo il celebre slogan di Greta Thunber: “Skolstrejk for klimatet”; ho invitato l’artista e Techno Sciamano Angelo Plessas ad esporre la sua serie di arazzi “Homo Noosphericus Awarness” e ricreato una scritta a led circolare con una citazione dell’artista concettuale americana Jenny Holzer: “Fear is the greatest Incapacitator”; infine ho ricreato una specie di percorso ascensionale, come quelli che si incontrano lungo la scalata del monte Everest per intenderci, costellandolo di bandierine, stile tibetane, con i colori dell’inclusività di genere promossi dalla comunità LGBTQ. Anche in questo caso lo spettatore è invitato a vivere lo spazio abbandonando la sua identità convenzionale e trasformarsi in particella, scegliendo uno degli Avatars del modello “E8” di Garrett Lisi. Nell’ottica della “Rosetta Mission” i contributi si sommano non si sostituiscono quindi, la versione 2022 nasce sulle spalle delle 2020.
MEET – Rosetta è una chiave interpretativa, ci siamo detti, un Sistema che permette sia l’innescarsi di relazioni sia di determinarne la qualità, condizioni entrambe essenziali all’arte e all’artista per entrare in sintonia con la società che gli ha dato gli elementi di realtà che l’artista restituirà in forma di creatività.
Oggi le sfide sono tante per l’artista, il suo ruolo viene messo in discussione, strattonato di qua e di là tra mercato e impegno. Qual’è la tua posizione a riguardo? Che relazione oggi dovrebbe esistere fra artista e comunità?
Luca – Mi vengono in mente le parole di Luciano Fabro, che ho conosciuto quando studiavo all’Accademia di Belle Arti di Brera, lui diceva che: “bisogna fare, non quello che si vuole, ma quello che si può e si deve”. Mi sono sempre sembrate parole forti ma credo che oggi risuonino particolarmente bene e richiamino il ruolo di attivismo di chi produce cultura in generale non solo dell’artista.
Io come persona sono il risultato di un ecosistema e rispondo con gli strumenti specifici che ho sviluppato per prendermene cura. Senza la pretesa di essere un salvatore privilegiato occidentale o con l’arroganza di sapere quale sia la cosa giusta da fare, metto semplicemente a disposizione quello che mi sembra di poter fare e di dover fare. Ho una predisposizione ad assimilare, elaborare e convertire in esperienza alcune problematiche estremamente astratte e specifiche, e credo che questa elaborazione immetta biodiversità nel sistema ossigenandolo e fluidificando la grammatica di cui è composto. Nel tentare questa strada impervia a volte le cose si complicano, mi definisco mediatore Cross-disciplinare, ma non significa che sia in grado o debba spiegare la complessità che mi circonda. A volte vengo accusato di essere criptico, come se mi venisse chiesto di offrire soluzioni e raccontare quello che ho capito, anziché essere quello che ho intuito. Alla fine, la ricerca è una forma di liberazione dalle convenzioni e dai luoghi comuni, da quello che si crede possibile o meno, dai condizionamenti e dalle manipolazioni a cui siamo soggetti costantemente. Ma allo stesso tempo è sempre e comunque un punto di vista soggettivo e quindi contraddittorio, manipolatorio a sua volta, è il prodotto di un comportamento che tenta di apparire il più possibile per concedersi il massimo lusso di sparire, di obliterarsi come dice Yayoi Kusama. Ma il risultato non è mai un monologo, la relazione tra artista e comunità produce un’occasione per collegare le reti “interne” del sistema, con le reti esterne, e con esterne intendo semplicemente tutto ciò che sembra incomprensibile, diverso e quindi spaventoso, brutto e cattivo.
MEET – Il tuo lavoro si inserisce nel progetto AI4future, “Intelligence Artificial of future”, una rete internazionale di laboratori urbani in cui artisti e giovani attivisti collaborano per creare consapevolezza attraverso l’uso dell’Intelligenza Artificiale al servizio della comunità.
Questo lavoro riflette la necessità di restituzione alla società del lavoro dell’artista di cui abbiamo già parlato e la stretta correlazione fra la tecnologia e l’arte. Qual’è l’apporto fondamentale della tecnologia nella tua arte, e cosa aggiunge o svela di nuovo?
Luca – Allora quando ho iniziato il mio percorso nel 2007, la mia unica tecnologia era una macchina fotografica digitale e il mio corpo: mi ritraevo all’interno delle grandi tele rinascimentali esposte in giro per il mondo colto nel massimo momento di sospensione, semplicemente saltandoci davanti.
In termini di mobilità dovevo percorrere fisicamente tanti chilometri alla ricerca di un allineamento estremamente effimero e raro. Ma una volta raggiunta la destinazione era tutto molto facile e veloce.
Da allora le cose si sono un po’ complicate.
Tecnologicamente parlando il progetto della “Rosetta Mission 2020-2022” è un labirinto.
Come dicevo prima è un costante rimbalzo su piattaforme diverse tra ambienti analogici e digitali non linearmente e direttamente interconnessi. Per prima cosa devi sapere che tutta la “RM2020” in realtà si trova all’interno di una scultura digitale chiamata “Third Eye Prophecy” geolocalizzata alla Pinacoteca di Brera di Milano tra la “Madonna col Bambino” di Andrea Mantegna e la “Madonna Greca” di Giovanni Bellini, visibile solo scaricando un apposito applicativo di realtà aumentata. La “Rosetta Mission 2022” invece si trova all’interno di un’altra scultura digitale chiamata “Third Eye Prophecy Hyperinascimento” geolocalizzata sopra il monumento di Leonardo da Vinci di Piazza della Scala sempre a Milano.
Quindi il viaggio inizia all’interno di due specie di Easter Eggs integrati, attraverso la realtà aumentata, al contesto museale da una parte (e questo spiega la relazione iniziale con il salto davanti alle pitture) ed urbanistico dall’altra, entrambe evocabili solo grazie ad uno spettatore attivo che con il suo device decide di recarsi fisicamente alle coordinate geografiche stabilite.
Ma pur facendolo lo spettatore non avrebbe mai esperienza diretta del contenuto della profezia, vedrebbe solo il guscio esterno, gli mancherebbero gli strumenti e i filtri tecnologici per accedere al contenuto delle “Third Eye Prophecy” ovvero la “Rosetta Mission”. Diversamente se avesse i link per le stanze della “Rosetta Mission 2020 e 2022”, si ritroverebbe catapultato in orbita intorno alla cometa, ma farebbe tanta fatica a capire di essere all’interno di un Easter Egg geolocalizzato in un luogo fisico…vedrebbe solo una cometa fluttuante immersa nello spazio profondo. All’interno delle stanze di Mozilla Hubs, potrebbe incontrare amici o perfetti sconosciuti, parlare, chattare, condividere informazioni, avere un’esperienza più o meno subliminale dei contributi interdisciplinari presenti, ma non avrebbe gli strumenti per immaginarsi simultaneamente come entità informatizzata in uno specifico spazio “vuoto” che intercorre tra le cornici di due master piece del Rinascimento Italiano alla Pinacoteca di Brera…Né tantomeno fluttuante sopra la testa di Leonardo da Vinci tra il Teatro La Scala, Palazzo Marino e il Palazzo della Banca Commerciale.
Su una piattaforma si guadagna informazione ma sull’altra la si perde e viceversa. Se si accedesse invece al viaggio meditativo per un solo esploratore alla volta realizzata come Game Engine Unity, si avrebbe un’esperienza più realistica grazie alla superiore qualità dei materiali, alla migliore immersività dello spazio anche in termini acustici e di fisica dei campi di forza, ma tutto questo al prezzo di essere solo. Si navigherebbe attraverso la profezia senza sapere, ancora una volta, quali altre relazioni esistano oltre il livello di esperienza tecnologico che stiamo performando in quel momento. Mi piace sempre ricordare che il principio di indeterminazione di Heisenberg ci dice che non è possibile conoscere simultaneamente la posizione e la velocità di un elettrone perché ogni volta che facciamo una scelta ed estraiamo una misura modifichiamo il sistema e quindi perdiamo qualcosa: consumiamo un’informazione, o meglio, la verifichiamo, la sottraiamo dal mondo del possibile per teletrasportarla nel mondo del reale.
Questo credo abbia a che fare in generale anche con il rapporto opera/tecnologia, la tecnologia non è che aggiunga qualcosa, offre modi diversi di interagire con la realtà e nello specifico credo che sveli degli aspetti della realtà che diamo per scontato o semplicemente non sappiamo di non sapere. È uno sforzo immaginativo che, come spesso accade, crea gli strumenti per performare possibilità che già esistono in natura ma di cui non riusciamo ad avere accesso altrimenti. Alla fine, credo che la tecnologia contemporanea, al di là di tutti i “servizi” che produce a livello sociale, sia un espediente per cogliere l’ampiezza della portata nella nostra coscienza della fisica non classica e di conseguenza lo stesso vale per l’opera in grado di integrarne i processi in maniera esperienziale e non strumentale o didascalica.
MEET – E in questa riflessione come si inserisce l’utilizzo dell’intelligenza Artificiale nel progetto che stai sviluppando proprio per AI4Future?
Luca – Sì, la “Rosetta Mission 2022” come giustamente ricordavi, nasce appunto nel contesto del progetto AI4Future che mette al centro la relazione tra artista, Intelligenza Artificiale e Comunità di Attivisti. Però, In fin dei conti, è sospinta da domande molto semplici e universali: Come faccio a sentire famigliari e personali, problematiche tanto distanti? Come faccio a sentire “reale” e non alienante un’esperienza vissuta in un ambiente Virtuale? Perché dovrei imparare ad ascoltare il linguaggio delle particelle se alla fine sono così piccole e insignificanti? Come potrei io fare la differenza e proteggere una cosa tanto grande come il pianeta? Perché dovrei accettare diversi modi di essere al di là della dualità maschile / femminile? Come posso fidarmi di un linguaggio generato artificialmente in un’infrastruttura informatica in buona misura creata per scopi di estrazione dati e targettizzazione degli utenti?
A conti fatti credo che lo scopo del progetto sia stato quello di elaborare questi interrogativi, senza ovviamente risolverli, e di spostarli su un altro piano, in questo senso un meta-piano, che però non molto a che spartire con il metaverso di Zuckerberg. Quello che abbiamo fatto, insieme ad un gruppo di giovani attivisti volontari del FAI (Fondo Ambientale Italiano), è stato quello di costruire un habitat La “Rosetta Mission 2022” appunto, pensato per la naturale e libera interazione di un gruppo di persone che avesse come obiettivo quello di sensibilizzare e discutere proprio queste problematiche. Inizialmente per sintonizzare loro stessi come comunità e poi magari per coinvolgere un numero di partecipanti via via sempre più numeroso. Ma oltre i contributi esterni raccontati poco fa, credo che alla “Rosetta Mission 2022” servisse un elemento in più, che non rappresentasse, ma fosse, una specie di passpartout in grado di aprire quelle barriere ed attraversarle liberamente. Un elemento che potesse creare empatia tra tutti questi fenomeni, che trasformasse il linguaggio delle particelle nei racconti di un amico da ascoltare al parco o da seguire su Twitter.
Ed è proprio qui che l’Intelligenza Artificiale ha giocato credo un ruolo decisivo, non tanto per prevedere, estrarre, controllare e targhettizzare, quanto per ispirare, generare aleatorietà, polverizzare la rigidità utilitaristica dei luoghi comuni e creare nuovi significati emergenti.
Il Risultato è l’ “Arkanian Mirror” che vive sulla Rosetta insieme all’“Arkanian Shenron” e all’“Arkanian Leonardo” che menzionavo precedentemente.
Gli “Arkanians” sono degli hyper-oggetti o come direbbe Michel Serres dei quasi-oggetti, a metà strada tra il mondo fisico classico macroscopico, quello subatomico quantistico e quello informatico/digitale di Internet e dei Social Networks.
Sono degli esemplari di animismo tecnologico costituiti simultaneamente da vere e proprie sculture equipaggiate di rivelatori di particelle realizzati in collaborazione con l’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare). Ognuno ha una rudimentale intelligenza artificiale in grado di convertire la rivelazione della particella in una parola, presa a caso da un bacino di testi specifici, diversi per ciascun esemplare. Ogni sedici rivelazioni l’Arkanian seleziona 16 parole e le organizza in una frase di senso più o meno compiuto, quasi divinatorio, simile ad un Haiku Giapponese, per poi condividerla sul proprio account Twitter. Ultima componente: un sito internet dedicato, abitato dall’avatar digitale in 3D graphics della scultura, in cui viene “embeddato” l’ultimo tweet generato al fine di poter essere declamato da una voce auto-generata dal browser ed udibile in real-time da chiunque acceda al sito internet da remoto.
Quando finalmente approdano sulla “Rosetta Mission” gli “Arkanians” sono delle sculture digitali dormienti che abitano l’ambiente VR, io li immagino come degli oracoli protettori della cometa o dei profeti quantistici pronti a sussurrare la loro ultima “poesia”.
L’“Arkanian Mirror” nello specifico è alimentato da un bacino di testi provenienti da mondi diversi: c’è il Protocollo di Kyoto, l’Agreement di Parigi, Il Trattato di Montreal, un libro fondamentale di Bruno Latour “Le Politiche della Natura” ed alcuni discorsi di Greta Thunberg.
In definitiva è un comune Specchio da Tavolo (ingrandimento 5X) equipaggiato, come dicevo, di un scintillatore muonico dell’INFN, di una AI e di due LED blu, montati sulla superficie circolare riflettente, a simulare due occhietti simpatici, che si accendono ogni volta che viene percepita una particella. Si trova fisicamente esposta alla XXIII° Triennale di Milano dal titolo “Unknown Unknowns”, ed è proprio dalla Triennale che verranno detectate le particelle generatesi nella stratosfera del pianeta, che dopo essere state elaborate dall’intelligenza artificiale rimbalzeranno prima su Twitter , poi sul sito , ed infine approderanno alla stanza VR della RM2022.
In questo senso l’AI rimescola le carte in tavola ed unisce i piani, non ha la pretesa di capire meglio o più velocemente, riporta tutto ad una rete basica e pura di informazione quantistica in un gioco di funzioni d’onda che decadono e si rigenerano vicendevolmente.
Sono le 16:01 dell’11 luglio 2022 e “l’Arkanian Mirror” Twitta: “Anarchy. We recognize in the promotion of sustainable Article; and Those questions of precedence, etiquette, politeness.”
Secondo te cosa significa?