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Da Minority Report a Her, interfacce per l’Hyper Reality

Tra virtuale e reale non c’è nessuna barriera da superare: sono l’uno la continuazione dell’altro, con altri mezzi. E questo diventa sempre più chiaro man mano che la tecnologia prende spazio nelle nostre vite quotidiane.

L’evoluzione della consumer electronics recente cerca proprio di rendere più “naturali” le nostre esperienze “virtuali”: dagli schermi multi-touch introdotti da Steve Jobs alle gestures di Kinect (il dispositivo di motion-sensing realizzato da Microsoft per Xbox), passando per i Google Glass e i visori per la realtà virtuale (come Oculus Rift), i meccanismi di ingresso negli ambienti digitali stanno diventando sempre più “frictionless”. E, cioè, sono sempre più fluidi, continui, istantanei.

Quanto più ci immergiamo nel mondo post-pc, con schermi e dispositivi connessi che ci circondano dappertutto, tanto più c’è bisogno di ridurre al minimo la “frizione” con l’Hyper Reality. Per rendere meglio la sensazione di immersione, c’è quindi bisogno di mettere in soffitta mouse, joystick e altri gadget, e ricorrere a strumenti di controllo più semplici e naturali, come la voce e i movimenti del corpo. Ed è proprio quello che fanno due film di fantascienza – Minority Report del 2002 e il recente Her di Spike Jonze – che per primi hanno reso visibile un futuro che sta già diventando realtà

Come sarebbe vivere in un Hyper-Mondo? Keiichi Matsuda, videomaker e designer, esplora le possibili evoluzioni degli spazi urbani e domestici in direzione di una crescente integrazione con un mondo fisico sempre più saturo di virtuale. La sua Hyper Reality è aumentata non perché aggiunge un nuovo livello al mondo reale, ma perché ci fa vedere meglio una realtà in cui siamo già immersi, in cui i bit sono sempre più fusi con gli atomi.

Come nel caso dell’Hyper Reality di Matsuda, il cinema è spesso usato per rendere visibile un presente a lungo immaginato dalla fantascienza. E che, forse, ha toccato il suo più alto livello di popolarità con il film Minority Report di Steven Spielberg. Arrivato sul grande schermo nel 2002, la pellicola immagina un futuro dominato da maxischermiinterfacce multitouch, con card grafiche che possono essere manipolate e spostate con i soli gesti. Così come oggi possiamo fare tutti con un iPhone o Kinect.

La potenza visionaria di Minority Report non è affatto casuale. Prima di trasformare il racconto di Philip K. Dick  in una sceneggiatura, Spielberg ha voluto convocare in un Idea Summit i maggiori esperti hi-tech dell’epoca (tra cui il designer di macchine avveniristiche Alex McDowell e Jaron Lanier, uno dei pionieri della realtà virtuale, ospite a MtMG nel 2006 in occasione dell’uscita suo libro provocatorio Tu non sei Gadget – qui la lecture integrale). Come ha raccontato il mensile Wired Usa in una interessante ricostruzione del Summit, l’obiettivo di Spielberg era capire meglio come visualizzare le interazioni dei protagonisti con la tecnologia, con un approccio del tutto pragmatico. Non a caso pungolava gli esperti, dicendo spesso:

It’s too sci-fi, the audience will never believe it

Spielberg, in particolare, era interessato a un’interfaccia che somigliasse alla “conduzione di un’orchestra”. E per questo motivo, il suo consulente tecnico-scientifico John Underkoffler del MIT Media Lab immaginò “una sorta di linguaggio dei segni per interagire con il computer”. E cioè un dispositivo per controllare le interfacce digitali così come si fa nella vita reale: con le mani e i gesti.

Questa estetica multitouch ha poi dominato la fantascienza degli anni a venire. Interfacce a “conduzione d’orchestra” si vedono anche in Tron, Total Recall e sono protagoniste in Iron Man 2, dove è l’intero studio segreto di Stark a diventare interfaccia per ologrammi interattivi, che danno vita a oggetti in 3D o che permettono di addentrarsi maggiormente nella materia.

Insomma, gli effetti speciali che vediamo al cinema non sono affatto immaginazione. Anzi, rappresentano un modo per esplorare un futuro che sta già diventando realtà. Anche perché i consulenti di Hollywood spesso lo sono anche per la Silicon Valley: Jaron Lanier non solo ha preso parte all’Idea Summit di Minority Report, ma ha anche aiutato Microsoft Labs a realizzare Kinect. E così, ora chiunque può fare a casa propria le gestures di Tom Cruise viste sul grande schermo.

In un interessante post pubblicato su The Awl, il designer Christian Brown analizza come si sia diffuso il modello di interfaccia a “conduzione d’orchestra”. E, al tempo stesso, critica questo modello perché troppo focalizzato su “ciò che sembra bello” rispetto a ciò che “funziona bene”.

Hopefully one day we’ll reach the point where filmmakers don’t want computers to look like conducting an orchestra, and we’ll be able to back out of this interface cul-de-sac and find our way forward into a genuinely natural way of using our devices. Like porn, techno interfaces are more focused on what looks good than what feels good. And like porn, it’s pretty hard to get people to stop buying.

Non si è affatto preoccupato di far “sembrare bello” il futuro immaginato nel film “Her” il regista Spike Jonze. Nella pellicola arrivata di recente sul grande schermo siamo immersi in un futuro che sembra tanto la nostra realtà, forse addirittura con un tocco vintage in più.

Eppure, in “Her” l’intelligenza artificiale la fa ormai da padrone. Solo che non serve nessun gesto o orchestra da condurre, basta la sola voce ad azionare i dispositivi che sono già incorporati nel protagonista.

Una metafora che rende bene l’idea di una realtà ormai così aumentata e intelligente, che le interfacce possono essere quasi del tutto invisibili. E dove, quindi, non c’è più nessuna contrapposizione tra reale e virtuale.

We decided that the movie wasn’t about technology, or if it was, that the technology should be invisible. And not invisible like a piece of glass. Technology hasn’t disappeared, in other words. It’s dissolved into everyday life

Proprio questa visione, sottolinea Wired Usa, potrebbe avere un impatto sullo sviluppo delle user interface forse superiore a quella di Minority Report.

 

 

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