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Cinque domande a Albert-László Barabási

Albert-László Barabási è uno scienziato e una personalità brillante dalla grande visione scientifica, ma capace di coniugarla con quella dell’artista in un intreccio profondo e complessò che ci dona un punto di vista assolutamente originale. Averlo al MEET e potergli chiedere cosa sia l’arte delle connessioni è stata una opportunità che non potevamo farci sfuggire.
Ecco cosa ci ha detto nell’intervista.


 

MEET – L’arte della connessione. In cosa consiste? Dell’arte possiamo dire, in estrema sintesi, che è un sistema simbolico di rappresentazioni da cui vogliamo ricavare emozioni. Aver fatto emergere la forma delle relazioni è emozionante?

Barabasi  – Abbiamo davvero bisogno dell’arte per suscitare emozioni? Il lavoro formale di Sol Lewitt o gran parte del movimento minimalista raggiunge questo obiettivo? E l’arte concettuale?  Il cubismo? Il dadaismo? Ci sono molti modi per avvicinarsi all’arte, e solo una dimensione è quella emotiva. Quindi non inscatoliamo l’esperienza artistica. L’arte della connessione coglie qualcosa di molto più profondo, essenziale all’esistenza umana, che di fatto ci precede. Coglie la nostra esistenza biologica, le radici della coscienza e persino la biologia delle emozioni, che emergono da un’interazione di troppi elementi che non possiamo veramente comprendere e controllare. La connettività è ciò che rende possibile la vita e le emozioni, che sono solo impronte della complessità.

MEET – Proviamo a definire la bellezza di questa estetica delle relazioni. Forse la troviamo nelle voci che raccontano il loro legame, rendendo vivi ed emozionanti i sottili fili che li legano l’uno all’altro?

Barabasi – Il nostro lavoro può essere esplorato come un viaggio estetico, ma si rivolge anche a chi è razionale. Se si è disposti ad andare oltre la forma, si scopre un altro livello di contenuto.

MEET – Ciò che vedo nell’arte delle connessioni è la capacità di trasformare la relazione non solo in una forma, ma in una storia, una sorta di cristallizzazione dello storytelling. In questa trasformazione secondo me la memoria gioca un ruolo molto importante, sia come esercizio (sento una forte influenza dalla lettura del saggio “L’arte della memoria” di Frances A. Yates) sia come contenitore di informazioni.

Barabasi – Le connessioni offrono un contesto, e l’arte è semplicemente priva di significato senza contesto. Gli esseri umani tendono ad avvicinarsi a questa complessità attraverso la narrazione di storie. La narrazione di storie è particolarmente rilevante per il mio lavoro e il suo mezzo spazia dai documenti di ricerca ai libri destinati a un pubblico più ampio, fino all’arte. Tutti questi mezzi offrono un modo diverso di raccontare la stessa storia. Per gran parte della mia vita ho interrogato i dati per portare alla luce la nostra storia, per poi utilizzare il miglior mezzo disponibile per rivelarla.

MEET – L’arte della connessione crea oggetti 3D che possiamo considerare forme tangibili di memoria e in qualche modo oggettivarle?

Barabasi – Si tratta di ricordi di relazioni, di collegamenti che guidano la nostra esistenza. In alcune reti, come quella cerebrale, queste connessioni sono portatrici di memoria. In altre, sono portatrici di un’ampia gamma di eventi e relazioni, che insieme acquistano significato.

MEET – Le forme create dalle reti di relazioni ci ricordano le reti ipertestuali che hanno caratterizzato il web. Parallelamente al vostro lavoro sulle reti informative, mi è venuto in mente il lavoro sul testo svolto da Graziella Tonfoni, scienziata del linguaggio e fondatrice della Letteratura Computazionale, dove una specifica forma tridimensionale è stata associata a una forma letteraria (il romanzo, il manuale, la biografia) creando un “oggetto testuale” che dà una forma specifica al contenuto. L’organizzazione dei dati e le loro relazioni nello spazio creano forme che possono essere codificate in forme che evidenziano il significato del loro contenuto?

Barabasi – L’ipertesto è solo un esempio di rete. E le tre dimensioni sono solo un modo per visualizzare le relazioni, un modo che ci è caro, perché noi esseri umani tendiamo a percepire lo spazio tridimensionale attraverso l’esperienza. Tuttavia, a me interessa di più l’universalità e le reti offrono un linguaggio visivo e concettuale per catturare le relazioni in modo universale, senza essere schiacciati dalla disciplinarità. Ma non illudetevi, le reti sono oggetti a dimensione infinita e la tensione sta nel fatto che cerchiamo di comprimerle nelle forme di percezione su cui si basa l’esperienza umana. Esse tendono a esistere in una dimensione diversa.

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