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Bookmark! L’universo delle startup
#Startup
12.000 venture capitalist, 29.000 startup e 34,000 fondatori. Sono i numeri di “The Start-up Universe“, visualizzazione interattiva realizzata da Visually in collaborazione con l’agenzia di design italiana Accurat e il graphic designer Ben Willers. A partire dai dati raccolti su CrunchBase, The Start-up Universe permette di navigare le startup per categoria (pubblicità, comunicazione, biotech, intrattenimento, etc), ma soprattutto di scoprire le relazioni tra venture capitalist e fondatori.
Da Twitter all’italiana GlassUP, il database è in costante aggiornamento e offre una visualizzazione interattiva anche dei diversi round di investimenti, come si può vedere in questo esempio dove:
– La bolla grande rappresenta la startup, i cerchi interni i diversi round di finanziamento
– A sinistra ci sono gli investitori per ciascun round
– A destra i fondatori
– In basso la descrizione contenuta su CrunchBase
Uno strumento prezioso non solo per mappare un settore emergente poco noto, ma anche per permettere alle prossime startup di prendere ispirazione e capire meglio come funziona quella rete di relazioni basata su venture capitalist, ma anche acceleratori, incubatori, cluster che, come abbiamo già scritto anche qui più volte, è cruciale per far nascere e sostenere l’economia delle startup.
#Sorveglianza
E’ destinata a diventare la parola dell’anno. Soprattutto per lo scandalo NSA portato alla luce da Edward Snowden, ma anche perché entro la fine dell’anno si imporranno sempre di più quei gadget da indossare (i cosiddetti wereable) che già ora fanno molto discutere per le loro conseguenze sulla privacy (come i Google Glass).
Ma, scrive l’ottimo Nick Bilton sul Nytimes, la sorveglianza digitale presenta aspetti molti diversi tra di loro. Non è solo dall’alto e contro-di-noi (come nel caso NSA), è anche dal basso e fatta-da-noi (come nel caso dei wereable). E, poi, la sorveglianza può anche essere uno strumento di giustizia, come nel caso delle telecamere che riprendono un reato.
Bilton fa riferimento al caso che ha sconvolto gli Stati Uniti dell’omicidio del ragazzo di colore Trayvon Martin da parte di George Zimmerman e sottolinea come, durante eventi come questi, tutti ci chiediamo: “Perché non possiamo premere il tasto rewind?”, “Se solo ci fosse stata una registrazione…”. Allo stesso tempo, però, l’uso delle tecnologie digitali per la giustizia pone anche interrogativi su cui non si è ancora riflettuto abbastanza
We want to follow the data trail and know everything that we need to know. The big question is: Who is going to be in control of that recording and data?
#Fotografia
Innova o muori. Sono gli estremi tra cui sono oggi stretti i foto-giornalisti, il cui lavoro è sempre più sotto pressione per via della facilità con cui chiunque può scattare e condividere un’immagine, soprattutto durante grandi eventi di attualità. Ma secondo Fred Ritchin, foto-editor al Nytimes e autore del recente libro “Bending the Frame: Photojournalism, Documentary, and the Citizen“, c’è ancora spazio per un foto-giornalismo di qualità.
Photographs are not there to show us the world, but to show us a version of what may be happening.
Lavorare in maniera proattiva (e non reattiva). Raccontare storie con forti connotati narrativi. Fare ampio ricorso delle nuove tecnologie. E, soprattutto, essere più utili. Sono questi gli aspetti che secondo Ritchin faranno sopravvivere il foto-giornalismo di qualità, come spiega in questa intervista a Mother Jones:
There is enormous need for professionals who know how to tell stories with narrative punch and nuance, who can work proactively and not just reactively, and whose approach is multi-faceted. We need more “useful photographers.” Given today’s budgets for journalism, my guess is that quite a few photographers will be fired in the near future. But I certainly hope that many visual journalists will be hired or funded along the way as well—we urgently need their perspectives.