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La Solitudine delle Moltitudini | Marco Buongiorno Nardelli
La musica non è un complemento. Sembra una affermazione banale, ma è giusto rimarcare come nelle opere multidiscipliari che caratterizzano l’arte digitale, dove si intrecciano in modalità veramente inestricabili e connesse competenze tecnologiche, sensibilità artistiche e conoscenze scientifiche, la musica giochi un ruolo mediano di enorme importanza, che tra l’altro ha sempre avuto nelle arti performative e nella multimedialità.
Ed è per questo che l’intervista che leggerete a Marco Buongiorno Nardelli, il compositore dell opera elettroacustica La Solitudine delle Moltitudini (The Solitude of the Multitudes) che permea di suono l’exhibition di Albert Laszlo Barabasi nella Immersive Room ci sembra più che pertinente, una testimonianza fondamentale per capire pienamente l’opera esposta di cui fa parte.
MEET – La tecnologia ha un lungo trascorso con la tua attività, possiamo dire che da sempre sperimenti il suo rapporto con la musica.
Nel tuo ultimo lavoro che presentiamo qui a MEET potenzi l’intreccio della tua musica grazie ad algoritmi generativi che hanno composto il materiale sonoro della tua opera.
È la prima volta che utilizzi una IA? L’hai adottata subito o hai affrontato un “percorso di avvicinamento” prudente ad una tecnologia così complessa?
MBN – Dunque, se con AI intendiamo in senso lato l’uso del computer come elemento fondamentale di una attività’ creativa, allora direi che tutta la mia produzione artistica e scientifica è fondata sulla sinergia fra mente e computer, che considero una estensione fondamentale del mio cervello. Ma se per AI intendiamo strettamente gli algoritmi di “machine learning”, allora direi che il mio percorso è completamente ortogonale a quest’ultimo. Quindi nel mio caso parlerei più di creazione/composizione aiutata dal computer o realizzata attraverso programmi che progressivamente assumono il ruolo degli spartiti tradizionali. E questo avviene non solo in pezzi come “La Solitudine delle Moltitudini”, che definisco una “cantata elettroacustica su supporto fisso”, quindi senza esecutori, ma anche in pezzi per strumentisti e insiemi.
Il percorso di avvicinamento fra musica e tecnologia nel mio caso ha una storia antica: ho cominciato a studiare musica quando avevo sei anni, e sin da allora, grazie agli insegnamenti del Mo. Pablo Colino all’Accademia Filarmonica Romana, il mio più importante maestro, ho imparato che la musica era fatta di numeri, e che i numeri potevano essere musica. E questo principio mi ha guidato negli anni a far convivere la dualità di scienza e arte che è il fondamento delle mie attività. La fascinazione per l’algoritmo e la programmazione è anche alla base della mia attività di scienziato: sono infatti un fisico computazionale che sviluppa teorie, algoritmi e codici per lo studio delle proprietà dei materiali. Ma questa è un’altra storia.
MEET – Si può parlare di co-creazione tra artista e algoritmo? Un compositore a cosa rinuncia e di cosa si arricchisce?
MBN – Nel mio caso io rivendico appieno il mio ruolo di compositore, principale creatore del prodotto finale. I miei “spartiti” sono programmi di migliaia di righe di istruzioni in Python che utilizzano librerie di algoritmi che ho elaborato nel corso degli anni (un esempio è la mia libreria musicntwrk, che può essere scaricata gratuitamente da www.musicntwrk.com). Ogni tradizione musicale è fondata su algoritmi di vario tipo, pensiamo ad esempio alle progressioni armoniche della musica occidentale. Quindi come compositore vedo solo un arricchimento enorme nella possibilità di generare algoritmi musicali che non sarebbe possibile risolvere con la sola mente umana. Se parliamo di co-creazione invece, io cerco sempre di dare libertà creativa agli esecutori, aldilà della semplice interpretazione sonora di simboli su un pentagramma. E questo concetto di co-creazione si estende spesso al pubblico stesso, che in molte delle mie opere è investito di responsabilità compositive. È il caso delle mie istallazioni musicali multimediali, che, insieme alle altre mie opere possono essere ascoltate e visualizzate sul mio sito web: www.materialssoundmusic.com.
MEET – Il rapporto con Barabasi è un incontro di metodo (dalle teorie della complessità e degli strumenti di analisi dei big data alla struttura della musica) o di comunanza di una visione estetica e artistica?
MBN – Io e Lažlo lavoriamo su piani paralleli. Ovviamente la sua influenza come uno dei più importanti scienziati di networks è innegabile nello sviluppo delle mie teorie sull’interpretazione degli spazi musicali come sistemi complessi rappresentabili come networks. In particolare, visto che molte di queste rappresentazioni seguono proprio la tipologia delle cosiddette reti di Barabasi e Albert, caratterizzate da una combinazione di pochi nodi “centrali” con molte connessioni e una moltitudine di nodi periferici, con poche connessioni: la famosa struttura ad “hubs” che è caratteristica di tante reti rappresentative di sistemi reali. Direi che con Lažlo ci siamo incontrati sul piano estetico ed artistico e abbiamo trovato una comunione di intenti. Questa del MEET è la nostra seconda collaborazione in poco più di un anno, e ci siamo conosciuti solo nel dicembre del 2021!
MEET – Ascoltando la tua musica mi è venuto in mente subito GEB* di Douglas Hofstadter e la sua ricerca delle strutture e dei processi mentali, possiamo anche dire dell’hardware e software dell’intelligenza. Se intelligenza artificiale coopera alla creatività artistica, la musica può contribuire viceversa alla comprensione dei processi dell’intelligenza? O è un percorso a senso unico?
MBN – La musica è una caratteristica comune a tutte le società umane, una caratteristica unica, la cui funzione evolutiva è materia di discussione: perché’ abbiamo la musica? Intorno a questa domanda è centrato il lavoro che svolgo come professore esterno al Santa Fe Institute (www.santafe.edu), un istituto internazionale per lo studio dei sistemi complessi. Il nostro è un gruppo di lavoro interdisciplinare che riunisce teorici della musica e compositori, fisici e matematici, psicologi e neuroscienziati nella ricerca di una risposta. Se non fossi convinto del profondo significato della musica nei processi dell’intelligenza non sarei qui…
MEET – Per ultimo, in La Solitudine delle Moltitudini c’è un profondo rapporto con opera di Barabasi esposta nella sala immersiva.
Come altre collaborazioni artistiche fra immagini e musica, anche la tua vive di una forte sintonia, potremmo dire quasi di una complicità fra gli autori. Qual è l’apporto che ha dato Barabasi al tuo lavoro, e viceversa?
MBN – Il contributo di Lažlo e’ concentrato sulla ideazione e realizzazione estetica della “storia” raccontata nel video: un viaggio immaginario che ci porta dalla semplicità iniziale di due punti che si uniscono, alla complessità’ delle reti rappresentate nell’ultima parte del video. La sua visione artistica è tradotta in immagine da due fantastici video artists, Alice Grishchenko e Gabor Klitzinger, con dovizia di particolari “nascosti” che rendono la video opera coerente non solo sul piano visivo, ma anche sul piano concettuale. La mia composizione segue questa stessa visione filosofica, ma senza “copiare” o banalizzare il processo o il gesto. Ho concepito “La Solitudine delle Moltitudini” come una cantata profana che puo’ vivere di vita propria, astratta dall’immagine o dal contesto, utilizzando i testi e la splendida voce di Júlia Coelho
L’opera
La Solitudine delle Moltitudini (The Solitude of the Multitudes), cantata elettroacustica per 16 voci femminili su supporto fisso (10 canali audio) di Marco Buongiorno Nardelli per la mostra “The Art of Connection” presso il MEET Digital Cultures Center di Milano (Italia), febbraio 2023. Soprano e testi: Júlia Coelho
Questa composizione musicale elettroacustica segue una rigorosa partitura elettronica, prodotta da un software di composizione generativa che mescola il materiale sonoro in un’infinita combinazione di possibilità: la partitura è composta da grafi formati da un insieme di nodi collegati da percorsi direzionali. Ogni nodo contiene informazioni specifiche sul tipo di gesto che il sistema eseguirà e viene realizzato in risposta alle immagini del video immersivo. Una volta eseguito un singolo grafo, ne viene generato uno nuovo, rendendo la performance virtualmente infinita senza presentare lo stesso materiale più di una volta. I grafi vengono costruiti utilizzando vari modelli matematici secondo un percorso che culmina con il modello per la generazione delle reti scale-free scoperto da Barabasi nel 1999: il modello incorpora due importanti concetti generali, crescita e attaccamento preferenziale: crescita significa che il numero di nodi nella rete aumenta nel tempo; attaccamento preferenziale significa che più un nodo è connesso (più il suo “grado” è alto), più è probabile che riceva nuovi collegamenti. I nodi con un grado più alto hanno una maggiore capacità di aumentare il numero dei loro collegamenti con i nuovi nodi aggiunti alla rete. La topologia risultante è fondamentale nell’analisi di molte reti reali, comprese le reti che rappresentano l’evoluzione delle composizioni musicali, un concetto che è alla base della pratica compositiva di Marco Buongiorno Nardelli.
L’autore
Marco Buongiorno Nardelli è un compositore e fisico computazionale presso la University of North Texas, dove è Regents Professor e fa parte di iARTA, l’ “Iniziativa per la Ricerca Avanzata in Tecnologia e Arte”, e del CEMI, il “Centro per la Musica Sperimentale e Intermedia”. Marco è inoltre un Professore Esterno del Santa Fe Institute, dove dirige un programma su “Musica e Complessità”. Come artista e scienziato, la sua ricerca è intrinsecamente interdisciplinare e trasversale: il suo lavoro in fisica e in arte è l’estensione naturale delle sue pratiche di pensatore creativo: “In fondo, sto facendo la stessa cosa; gli strumenti che utilizzo per raggiungere gli obiettivi finali sono diversi, ovviamente, ma la struttura concettuale è molto simile. Queste due cose parlano tra loro a un livello molto profondo.” In qualità di teorico musicale e compositore, è un pioniere nell’applicazione delle teorie della complessità e degli strumenti di analisi dei big data alla struttura della musica come spazio matematico generalizzato. Come artista, è riconosciuto a livello internazionale per le sue composizioni e installazioni musicali/nuovi media, e la sua ricerca artistica è radicata nella dualità “musica come dati, dati come musica”, inclusa la traduzione di dati e processi scientifici in materiale sonoro per fini artistici e creativi. Maggiori informazioni sulla musica di Marco possono essere trovate su http://www.materialssoundmusic.com