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VR, il futuro è adesso | di Alessandra De Tommasi
Un salto tra “guardare” un film ed “essere” il film: la realtà virtuale per mezzo secolo ha cercato di portare in sala la rivoluzione più immersiva della settima arte, anche se inizialmente il termine coniato da Antonin Artaud (correva l’anno 1938) si riferiva al teatro.
È un po’ come se il regista cedesse il ciak allo spettatore e ne delegasse le scelte, o almeno così si è sentito Steven Spielberg nell’approccio distopico all’argomento nel suo Ready Player One, una predizione sulla fuga verso un universo digitale e accogliente, o, per lo meno, meno ostile del mondo reale.
Durante l’isolamento da pandemia la necessità di ricorrere a canali alternativi d’esperienza ha esponenzialmente amplificata la necessità di un’alternativa per esplorare il mondo. Lo ha mostrato Matrix ma non serve prendere una pillola rossa per imboccare l’una o l’altra via, perché la VR non sostituisce ma arricchisce il panorama esistente.
Una finestra digitale
Come tutte le proposte pionieristiche, prima di arrivare allo spettatore passa attraverso il filtro culturale dei festival, che ad ogni latitudine, ne hanno abbracciato le possibilità, inclusa la Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia: nell’edizione 2021 (dal 1° all’11 settembre) propone Biennale College Cinema – VR Italia, in collaborazione con il MEET Digital Culture Center, il nuovo polo culturale digitale di Milano.
La sinergia si espande con una rassegna di cortometraggi nella prima metà si settembre, che arricchisce la proposta – in collaborazione di Rai Cinema Channel – di un VR Corner, un’area per allargare gli orizzonti digitali. Si parte con l’esplorazione di tre lavori (Revenge Room di Gennaro Coppola; Happy Birthday di Lorenzo Giovenga e Lockdown 2020. L’Italia invisibile di Omar Rashid).
L’intuizione di Facebook
La linea sottile tra reale e immaginario, spesso sorpassata dai social media, ha subito attirato l’attenzione di Mark Zuckerberg che nel 2014 ha chiuso un accordo da 2 miliardi di dollari per incorporare nelle proprie piattaforme il dispositivo di VR Oculus. Aveva dichiarato: “Un giorno, crediamo che questo tipo di realtà immersiva e aumentata farà parte integrante della vita quotidiana di miliardi di persone”. Il pionieristico investimento non ha dato propriamente i frutti sperati, ma di certo ha acceso i riflettori sul futuro dell’esperienza cinematografica, sempre più personalizzata e profonda. Ad aumentarne la “fama misteriosa” concorrono film come Bliss (con Salma Hayek e Owen Wilson (disponibile su Amazon Prime Video), che ipotizzano la possibilità che l’umanità stia abitando in effetti in un mondo virtuale dove ogni cittadino è in realtà un giocatore.
In principio erano i gamer
In effetti l’esigenza di trasporre l’esperienza umana in una versione digitale perfetta e funzionante non è recente e si è radicata nella cultura pop per amplificare inizialmente l’esperienza dei gamer, cioè il pubblico dei videogiochi. Il salto dalla consolle al grande schermo si è rivelato piuttosto breve. Non a caso storie interattive come la serie cult Black Mirror (su Netflix) somiglia sempre meno alla fantascienza futuristica e si avvicina ad un presente già scritto.
Nascono così eventi e manifestazioni legate alla VR, dall’edizione virtuale Cannes XR del mercato dell’audiovisivo del Festival sulla Riviera francese (che è stato il primo festival al mondo nel 2016 a proiettare storie in VR nel 2016) al progetto del Museo Nazionale del cinema di Torino.
VR, il futuro è adesso
Tempo fa, il genio della VR Chris Milk ha dichiarato alla BBC che la realtà virtuale è uno strumento per disegnare il cinema come una storia in presa diretta, capace di soddisfare bisogni individuali. A suo parere il termine “storytelling” verrà presto soppiantato dal concetto di “story living”. Non c’è più qualcuno che racconta una storia e che il pubblico fruisce, ma nasce una concreta compartecipazione al progetto.
La parola chiave di questa rivoluzione resta “libertà”: grazie a questa nuova tecnologia l’esperienza non riguarda solo la visione, ma la partecipazione in maniera attiva.
Quale schermo?
Si procede per prove e tentativi, molto spesso grandiosi come la realizzazione di The Volume, uno schermo a LED di proporzioni gigante che sul set immerge la produzione e il team in ambienti in CGI che cambiano scenario in tempo reale con un’angolazione di 270°. Quest’intuizione è stata poi sperimentata sul set di una serie già evento di Disney+, The Mandalorian. Attraverso il lavoro con videocamere VR, il regista Jon Favreau, che aveva familiarità con la tecnica grazie all’adattamento live action de Il Re Leone, ha letteralmente deciso di portare in vita l’universo di Star Wars.
Mettere la tecnologia al servizio della storia in questo caso permette al pubblico di entrare a sua volta nel racconto e non più come ospite.
Il grande salto
Passare inoltre da 24 a 60 fotogrammi al secondo permette un’evoluzione tale da “ingannare” il cervello: di fatto non ci si rende più conto della differenza tra il mondo fisico e quello digitale azzerando quel senso di scollamento dalla realtà che persiste nella sala cinematografica. Lo sforzo produttivo resta immane perché non basta convertire il girato in 2D in VR. L’esperienza non si limita alla presenza, ma richiede interazione tra personaggi e fruitori, tutti per la prima volta sullo stesso piano di compartecipazione alla storia. E questo sembra solo l’inizio…
Ph credits: Federica Secondelli